21/06/23

VIVERE CON E SENZA COSCIENZA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 45

Qui di seguito il quarantacinquesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


VIVERE CON E SENZA COSCIENZA




I dibattiti scientifici riguardanti se è il cervello a produrre la mente oppure no, interessano marginalmente il nostro viaggio. Se non per arrivare fino a qui, poiché si tratterebbe ancora di un confronto dualistico. Così che per forza bisognerebbe individuare se è questa realtà a dare vita alla coscienza o l’incontrario.
E se invece, allora, coscienza e cervello fossero entrambi due componenti autonome l’una dall’altra? Non possiamo sapere se sia veramente così ma dobbiamo tenere conto che potrebbero avere due esistenze separate. E che solo incidentalmente si sovrappongono in questa dimensione, in misura di quanto liberamente si diviene con progressività coscienti (ci si dedica a cercare la Verità).
Difatti, rispetto all’osservazione dello scienziato, quella del fedele si scosta a comprendere che questa realtà non sarebbe una diretta conseguenza della nostra mente o viceversa. Semmai, questa realtà è una creazione appositamente approntata per cui noi, come esseri umani, possiamo realizzare di essere una coscienza. E, successivamente, non solo quella ma la Coscienza Unica e Universale, senza secondi. Infine, in modo naturale, sarebbe poi l’essere la Coscienza che collateralmente ci permetterebbe di creare e modificare la realtà. Poiché ogni cosa è appunto un prodotto della Coscienza.
Non appare più fuori luogo, a questo punto, riconoscere la coscienza autonoma: fuori dal tempo e dallo spazio. Tutti quanti abbiamo fatto esperienze che possono essere la prova di quanto la nostra coscienza travalichi questi limiti. Come un presagire, un pensare cose legate a fatti che avvengono altrove o che si capiranno più avanti, sognare eventi che hanno luogo in altri posti o in altri momenti e anche esperienze più complesse, tutte finora sintetizzate nel nostro trattato con il termine “intuizione”.
Questa non è una speciale capacità che ha la nostra coscienza ma è il modo in cui essa è. E la coscienza è noi, malgrado con il termine “io” si ha la consuetudine a identificare il corpo e la mente che qui delineiamo essere il supporto che la coscienza (il sé) adopera per interagire ed esperire in questa dimensione.
Si deve lasciare spazio all’intuizione che a partire da questo punto di vista ci fa accorgere che malgrado ogni essere umano sia dotato di un corpo e una mente, ne cambia l’esperienza a livello di coscienza. Ovverosia, a seconda di quanta coscienza (altrimenti chiamata Dio o energia divina, vitale) si ospita in sé.
Ogni uomo nasce dotato di un corpo e di una mente ma con la pratica del Vangelo abbiamo riconosciuto come arrendersi a qualcosa di più grande di tutto ciò. Già in passato, questo qualcosa veniva intravisto come “Dio” e poi precisato come pura coscienza universale. Infine, viene realizzato che questa coscienza è l’unica coscienza e quindi (anche) la nostra coscienza individuale. La quale, attraverso la nostra soggettività, comprova l’adesione, aderenza e servizio al Divino.
Allora, più un individuo permette le condizioni affinché questa coscienza universale è in lui ospitata e agente, e maggiormente egli sarà personalmente cosciente e consapevole. Il contrario è invece una persona che rivolgerà le proprie attenzioni e attrazioni verso il materiale. Pertanto, la presenza della coscienza influenza quanto individualmente si arriva a credere all’autenticità ed esclusività della realtà mondana.
L’esperienza in questa realtà sarebbe sì possibile attraverso una presenza particolarmente vivace della coscienza, ma anche con poca coscienza oppure in sua totale assenza. L’essere umano può procedere in una vita senza coscienza ma comunque consapevole, perlomeno di quanto egli possa divenire consapevole: le cose più basse, il materiale, la mondanità. Ciò è possibile perché il corpo e la mente sono gli strumenti ideali per esperire in questa realtà e chiunque, come spirito, può finire per identificarsi nel corpo e la mente che sta usando. Tant’è che questa persona faticherà a captare qualcosa che si innalzi sopra al suo essere cosciente per mezzo della percezione sensoriale e le pulsioni del corpo.
Questo non deve lasciare adito al pensare che ci siano uomini di serie A e altri di serie B, a seconda di una presunta consapevolezza, evoluzione o realizzazione. Tutti, a seguito delle proprie scelte e virtù (si veda quanto mostrato nel percorso di pratica del Vangelo) siamo predisposti a perfezionamento parimenti a come siamo cagionevoli di retrocedere. Tutti abbiamo vissuto svariate volte episodi nei quali la propria coscienza è stata più o meno sospinta in avanti o ostacolata.
Inoltre, è sempre la medesima coscienza, la stessa vita: non può sussistere una gara fra le persone a seconda del personale livello di coscienza. Piuttosto, il maggior flusso di coscienza dovrebbe portare l’individuo ad avere compassione verso coloro che non sanno di goderne e preoccuparsi per migliorare il loro stato. Il quale è direttamente collegato a un far indurre ad accorgersi della vera realtà.
Un’attitudine virtuosa quando si prendono le decisioni, una esistenza altresì scandita da una pratica del Vangelo, favorisce la fede che qualcosa di più grande di noi agirà. In noi, tramite noi e realizzando così la presa di coscienza sulla vera realtà. La pratica del Vangelo, allora, potrebbe essere immaginata alla stregua dell’allenamento ginnico per lo sportivo. Maggiormente egli è costante negli esercizi fisici e più il suo stato e la sua salute miglioreranno. I muscoli diventeranno più forti, abituati al sano movimento e pronti all’azione. Così la pratica della coscienza porterà più possibilità all’accorgersi della coscienza stessa. Fino al riconoscersi in essa quando la si vedrà come l’unica e globale.
Se usiamo ancora la metafora dell’attività fisica, possiamo paragonare le persone con più o meno coscienza a quelle che in modo diverso si allenano negli sport. Benché tutti abbiamo un corpo fatto di muscoli, solo chi lo adopera in modo sano e attivo svilupperà una struttura prestante e forte, mentre chi non vi si dedica lo trascurerà abituandosi al facile affaticamento e alla pinguedine.
In realtà, la coscienza è sempre la stessa, come sappiamo, e unica. Quindi non varia per davvero da persona a persona ma, come più volte suggerito attraverso altre immagini: ognuno ne diventa un differente ricevitore. L’innalzare in sé un’antenna per captarla e ravvivarla come il contrario, ha a che fare con le scelte personali. Essa esiste a prescindere da noi, la nostra condotta condiziona solo la misura e la qualità del goderne. Per riceverla, non ci sono limiti personali dovuti a come è il proprio fisico o la propria mente ma, piuttosto, alle proprie convinzioni. Ovvero, a causa del personale livello di consapevolezza sulla realtà e su cosa vi starebbe dietro. È un personale prendere coscienza della coscienza che essa diventa ulteriormente ricevibile e fruibile.
Questo, come abbiamo già lasciato intendere in precedenza (specialmente nel libro "Vangelo pratico"), è la misura anche di quanto si può accogliere della vera realtà. Cioè, del vero mondo, la vera vita che è quell’unica e universale coscienza. Essendo caratterizzata da totalità e pertanto illimitatezza, essa viene ricercata, anche per mezzo delle modalità trattate, per poter accedere a una fonte inesauribile di quanto egoisticamente si potrebbe desiderare. In altre parole, invece di cercare di integrarvi per assurgere al vero sé che è oltre a questa realtà, riempirsi di quei fattori che possono conseguire un “ingrandirsi” in questo mondo. Come, ad esempio, far fluire verso sé abbondanza di ricchezza materiale, ammirazione o potere sociale.
La dinamica è sempre la medesima e l’invisibile può essere così sfruttato come si potrebbe fare per qualsiasi cosa che si ricerca per trarvi un vantaggio. Per orientarsi, il praticante del Vangelo sa che per lui la prassi da ricercare è solo una: l’amore. E, così, a causa dell’amore verrà facilitata una sorta di desensibilizzazione verso l’ansia di ottenere la soddisfazione dei propri desideri.
Pertanto, è come se il mondo, questa intera realtà, venisse sperimentata piuttosto come palestra per poter così sviluppare i “muscoli” per la personale esperienza che introdurrà al Divino. Traguardo che si raggiungerà con il prendere coscienza di noi e di Dio, che equivale a conoscere la Verità: chi è “io” e chi è ciò che non è “io”.
Nel precedente libro, abbiamo sfruttato, per aiutarci a capire, la metafora in cui l’essere umano in confronto a Dio è come una cellula integrata nel corpo che sta costituendo. A questo punto, è come se la nostra cellula abbia fatto un percorso di consapevolezza di sé da permetterle di vedere come stanno veramente le cose. Ossia che la cellula e l’organismo intero non sono due elementi separati seppure la cellula abbia una propria vita distinta e si veda così indipendente dal resto del corpo. Cellula e corpo sono la stessa cosa, lo stesso essere: un’unica struttura, composta ma pura.
L’incontro con Dio non può avvenire finché si crede Dio qualcosa di separato da noi. Come se fosse altro rispetto a noi, un’altra cosa o un’altra persona che bisogna ricercare oppure richiamare perché altrove. Questa scoperta, allora, non avrà luogo andando da qualche parte o rivoluzionando chissà cosa. Dovrà succedere guardandosi allo specchio.





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