21/09/22

IL GIORNO DELLA SALVEZZA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 6

Qui di seguito il sesto capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


IL GIORNO DELLA SALVEZZA


Il giorno della salvezza” è l’espressione che San Paolo usa nei suoi scritti per indicare il periodo utile a prepararci al ritorno di Gesù. È scelto il termine “giorno” ovviamente non per indicare un lasso di tempo di ventiquattr’ore ma, per similitudine, un processo unico. Questo “giorno”, quindi, è quando personalmente ci si prepara alla venuta di Gesù. Malgrado non possa avere per tutti una identica durata, la scelta della parola “giorno” è probabilmente dipesa dal voler suscitare un’immagine come quella del Sole che compie l’intero suo ciclo dall’alba al tramonto. Inoltre, per il Sole l’esistenza non si completa al tramonto, ma si svolge anche successivamente per poi procedere ancora all’alba seguente. E così ulteriormente in cicli maggiori che comprendono vari giorni, mesi, anni e decadi.
Nella medesima impossibilità di indicare il principio e la fine dell’intero esistere del Sole, così è se si guarda a quello dell’essere umano. L’uomo ha questo infinito alle sue spalle come di fronte a sé, e il “giorno della salvezza” è il momento ideale e basilare per il suo progresso, la sua occasione per realizzare Dio.
Di conseguenza, questo “giorno” per ciascuno di noi non è una parentesi delineata da tratti precisi. Ognuno deve attraversare vicende diverse per giungere all’obiettivo e, quindi, con modalità e durata imprevedibili.
Tale esperienza attraversa, allora, tutto quanto si vive, al di là della sua mera comprensione e importanza. E, seppure è la dinamica per accedere a un tangibile progresso e miglioramento personale, essa non è imposta. Infatti, può anche essere ignorata, trascurata o addirittura rimanere sconosciuta. L’essere umano può praticare e vivere quanto indicato nel Vangelo oppure abitare una sequela di vite caratterizzate dalla sofferenza. O meglio: un credere che la sofferenza (e quanto percepito nel materiale) sia l’unica verità.
In quest’ultimo caso, si tratta di un vivere (anche se sarebbe più corretto dire una stasi) soffermato nell’attesa di risvegliarsi a qualcosa di meglio. Per “salvezza”, infatti, bisogna intendere l’accorgersi della vera natura di sé e della realtà. Conoscenza che giunge senza poterla capire, abbiamo visto nel precedente capitolo, ma che facilita, proprio per il suo semplice averne accesso, alla comprensione di tutto. Non sarà più un lavoro mentale, ribadiamo, ma un essere la comprensione di tutto, aderire alla Verità.
Se si guarda alle elucubrazioni fatte poco sopra sul Sole, allora si potrebbe considerare valido che San Paolo avesse invece potuto scrivere “l’anno della salvezza” o un generico “il tempo della salvezza”. Se c’è stata la scelta, poetica ma intelligente, su “giorno” è perché si vuole accostare il significato di “oggi”. La salvezza è da ricercare oggi, nel senso di adesso, non in un momento indefinito o procrastinabile. L’accorgerci in quella frase di un significato legato all’infinito (come l’imperscrutabilità dei movimenti solari) è perché l’uomo è infinito e, senza la conoscenza di Dio, finirebbe per trascorrere il suo tempo nell’immobilità. Un’anima sì immortale, ma immota.
Ciò è indubbiamente collegato all’arrendersi all’evidenza fallace che l’uomo vivrebbe una vita sulla Terra per una volta soltanto. E quindi sarebbe utopistico credere di potersi portare verso cime troppo alte di un percorso di risveglio; seppure si hanno le prove che ciò sia possibile. Un tale scoraggiamento sarebbe connesso, stiamo verificando, a una mancanza di tempo: forse è per questo che studi sulla chiesa antica ci mostrano che alcuni tra i primi cristiani erano invece convinti che si tornasse in vita? Già subito, appena deceduti, non alla fine dei tempi: un perenne ciclo di morte e rinascita. Sicuramente, il problema del tempo non si presenta se teniamo conto del suo non avere sostanza se non nel decadimento del fisico; ma, come abbiamo imparato, l’uomo è oltre il corpo che anima. Può allora l’essere umano intraprendere tale viaggio senza badare all’orologio? Ad esempio, questo viaggio potrebbe essere iniziato addirittura prima della nascita e continuare dopo la morte: se la Verità è infinita, come posso segnare cosa avverrebbe prima e cosa dopo?
Benché in questo corpo ho gli strumenti per fare luce soltanto su quanto percepisco materialmente, posso comunque non essere pienamente devoto a tali condizioni fisiche e limitanti se so, se mi ricordo, che io sono anche oltre questo corpo. Posso serenamente vivere la condizione materiale senza per forza credere che sia la più importante o l’unica.
Come il Sole, l’essere umano vive ciclicamente una incalcolabile sequenza di vite le quali, se vissute senza la convinzione di poter ottenere la salvezza, saranno simili e pervase di sofferenza. Si può non avere alcuna prova che si ritorni in questa terra dopo la morte ricominciando una nuova vita in un altro corpo (come attestano vari credi dall’Oriente), tuttavia, anche se si facessero solo pensieri logici (mentali), si dovrebbe riconoscere che nell’arco della stessa esistenza una persona rinasce parecchie volte. E questo non soltanto da un punto di vista metaforico (ad esempio a causa delle esperienze che segnano e modificano le proprie abitudini o i cambiamenti radicali che un po’ tutti affrontano), anche fisicamente. Infatti, senza sosta le cellule del nostro corpo muoiono e vengono sostituite così che ogni uomo ha, per svariate volte, tutte le proprie cellule rinnovate nel passare degli anni. È stato calcolato che questo totale ricambio avviene mediamente in quattordici anni; pertanto, il tuo corpo non è lo stesso corpo di quattordici anni fa. Si ha la prova che trasmigriamo da un corpo in un altro e senza addirittura che ne diamo rilevanza.
Ciononostante, nel passare dei quattordici anni la vita pure transita e il corpo rimane animato fino a un momento, nella vecchiaia, che questa possibilità verrà a mancare. Eppure, neanche quell’ultimo passaggio può essere definito finale perché il nostro essere infiniti, la nostra anima potremo dire, non ha data di scadenza, ovviamente.
La relazione tra la giustizia di Dio (presentata nel precedente capitolo), la salvezza e il concetto di infinito è motivata proprio dal Vangelo. Difatti, nell’essere pienamente vita trascendendo la morte (e quindi il tempo), Gesù è eterno. Viene messa direttamente nella mano del fedele la prova dell’infinito che è la vita, che è ogni cosa essendo ogni cosa la vita stessa.
Quindi, tu non stai vivendo, secondo il significato comune del termine: tu sei la vita. Che, incidentalmente, in questo momento, sta animando un insieme di elementi (corpo, mente, ecc.) che formano una persona. Avrebbe senso, allora, portarsi a considerare non quella persona che si è, ma ciò che le dà vita. Questo non significa che la persona che siamo non ha importanza, ne ha in misura di quanto ne fruiamo per percepirci divini, ovvero manifestazione di tutto ciò. Occupando un posto nella materialità, ogni essere vivente sperimenta una separazione dal divino. E la materialità è lo strumento più adatto per farci accorgere che in realtà tutto è unità. E così presentarci alla conclusione del “giorno della salvezza” sicuri, con prove alla mano in quanto sperimentatori della divisione nel materiale, che tutto è un’unica cosa (sostanza) con il Padre.
I filosofi e apologeti della Bibbia appunto identificano in Gesù “l’ufficio del sacerdozio eterno”. È sacerdote perché tramite Lui il fedele trova le linee guida per passare al meglio il “giorno della salvezza” ed “eterno” come conseguenza alla Sua risurrezione. Anche oltre i più grandi sacerdoti riportati nelle Sacre Scritture, Gesù non deve, come fanno costoro, immolare vittime su un altare o eseguire speciali riti: è Egli la vittima sull’altare e il Suo corpo ospita il rito. A causa Sua, non servirebbe più occuparsi di redimersi da peccati o offrire animali su un’ara. Ogni essere è salvo, e lo è in modo totale ed eterno.
Come ci stiamo impratichendo a considerare, per infinito non possiamo definire un lasso di tempo preciso: anche in questo contesto, ogni essere è salvo in qualsiasi tempo. Questo assioma, che nella religione si è istituito di chiamare “salvezza”, non deve però essere considerato come promotore di una passività da parte dell’individuo. La salvezza è al pari di un seme che ciascuno ha dentro sé: la modalità per dargli le condizioni per rifiorire è attraverso Gesù, ovvero il Vangelo. Tutti abbiamo la predisposizione per diventare Cristo, a nessuno è preclusa; non ricercarlo comporterebbe un vivere statico e credente della sofferenza come abbiamo fatto cenno più sopra.
Certo, in una vita statica che scantona vari momenti di sofferenza si può lo stesso vivere felicemente e in modo appagante. Però qui noi stiamo avviandoci ad accorgerci della vera natura della vita, della realtà e delle possibilità che si hanno in veste di esseri umani. Anche un meraviglioso pavone rimane meraviglioso e in salute quando è chiuso dentro a una gabbia, ma è quella la sua vera natura?
Per via dell’eternità di Cristo, sono saltati qualsiasi confini immaginabili fra la terra e il cielo. È infatti a causa Sua che l’uomo riceve lo Spirito Santo: vi è un diretto contatto e collegamento con il Signore Supremo.
Quello che dalle Sacre Scritture si intende per il ritorno di Gesù è il momento in cui terminerà questa epoca. I punti di vista sull’escatologia, leggendo il Nuovo Testamento, sono stati tra i più vari, e così è ancora ai giorni nostri. Ciò che è importante tenere conto, visto che non possiamo segnare date su un calendario, è che questo avvenimento accadrà a seguito di un periodo di preparazione. Questo è quello che qui abbiamo ricordato essere chiamato “il giorno della salvezza”, il quale deve per forza essere vissuto da ciascuno di noi. Altrimenti ci si preclude da sé l’accesso alla nuova epoca annunciata: il Regno di Dio. E siccome la preparazione è diversa e di varia durata per ciascuno, potrebbe anche darsi che il ritorno di Cristo non è da intendersi come un avvenimento sociale ma personale, intimo.
Inoltre, ricordando che noi siamo la vita e che quindi viviamo in misura illimitata indipendentemente dalla caducità di un corpo che animiamo, non possiamo impigrirci in esistenze fatte di ignoranza verso la Verità. Perché anche se il ritorno annunciato di Cristo dovesse avvenire fra secoli, dopo la fine del nostro corpo fisico, tutti noi saremo presenti comunque. Proprio per via del nostro essere infiniti, se no non ci sarebbe stato dato il seme in noi che ci permette di diventare come Cristo.



Nessun commento:

Posta un commento