La caratteristica antropocentrica
della fotografia è amplificata nella sua possibilità di far ricordare,
preservare il soggetto dalla morte. Aiuta ad accettare il passare del tempo e
far rievocare chi ci ha lasciati. La fotografia, qui, prende il posto della
persona deceduta; come un regnante del passato che viene sostituito con la
presenza del suo dipinto realistico, o il Faraone con dei simulacri di
terracotta e la mummia…
Ma non è finita: oggi, tramite
l'uso di massa della fotografia e l'immensa mole di foto della quotidianità di
ciascuno che viene caricata in internet, la fotografia va a sostituire la vita
stessa. Una replica che è qualcosa di più, quasi una neutralizzazione della
quotidianità: scompare diventando neutra con quella di tutti gli altri che
caricano foto nello stesso contesto…
Scopo di performance come quella
illustrata da questa foto (scattata dalla fotografa Lara Trevisan durante una
passata edizione del festival "Orchestrazione", Portogruaro
-Venezia-), è appunto creare invece un corto circuito. Innanzitutto per chi è
testimone dell'azione, e poi per chi avrà a che fare con simili immagini.
Il mostrare qui una via verso
qualcos'altro comporta una difficoltà di interpretare il contesto più per chi è
testimone indiretto che per chi era lì presente. Il primo, infatti, deve in
aggiunta anche trovare un senso a ciò che la rappresentazione sta mostrando
perché la foto rimane per sempre e si sostituisce inderogabilmente all'evento;
mentre il secondo assiste tutto in modo effimero.
Deve essere come camminare nella
nebbia, ma quello che la foschia non permette di distinguere bene non sono le
cose più confuse che invece emergerebbero, ma quelle più quotidiane, ovvie.
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