Ogni
attività viene compiuta seguendo le regole di una recitazione
personale e collettiva; ogni fotografia mostra un momento di una
performance. La fotografia assoluta non è nel documentare un volto
con uno scatto fotografico ogni giorno, ma un individuo che fin dalla
nascita sia celato allo sguardo e che si mostrerà agli altri, per
l'intera durata della sua esistenza, esclusivamente tramite delle
foto. In altre parole, la fotografia sarebbe la vera testimonianza,
quella dell'assenza perché per la fotografia il concetto di presenza
è un qualche cosa di negativo. Come a dire che se non c'è assenza,
la fotografia fa una comparsa parziale; come il nero che compone i
colori ma che appare in maniera completa soltanto nella loro totale
assenza. La prova di ciò è che il nostro soggetto che si prestasse
alla realizzazione della fotografia assoluta, darebbe dimostrazione
concreta e solida di sé, solo nel momento di negazione della (sua)
vita: il decesso.
Ma
se noi non possiamo guardare il volto di costui, avremmo il dubbio
che non sia effettivamente reale o che addirittura non esistesse: è
un paradosso, un'inconciliabile considerazione che dimostra che a
causa dell'avvento della fotografia, l'immagine è morta. Quindi, non
ci resta che utilizzare la fotografia in modo precario come abbiamo
fatto finora: se per dare significato alla fotografia si deve
guardare alla vita, e per dare significato di star vivendo bisogna
comprendere la morte, ci si può rendere conto che la maniera in cui
viene anche concepita la fotografia, è distorta. Ovvero, se la foto
la usiamo per trasmettere un avvenimento allora lo stiamo facendo in
modo superficiale e non definito, come usare degli schizzi a matita
per rappresentare i momenti di un fatto che si vuole fermare e
tramandare.
Presenza
e assenza nella fotografia sono un grande conflitto che in modo
grottesco si risolverebbe nello scattare foto di qualcosa che non
esiste, frutto dell'immaginazione, cioè la libertà che era del
disegno e della pittura. Qui entra in gioco il mio lavoro fotografico
che utilizza foto di scene reali ribaltate in qualcosa di irreale,
assurdo: perdere la capacità di raffigurare, testimoniare,
descrivere, ritrarre. Questo è possibile, come ho già scritto in
passato, separando la fotografia dall'immagine; si ottengono così
degli oggetti che sono a sé stanti dalla fotografia, concettualmente
"infotografabili". Pensare che ciò che riporta una foto
sia la realtà, sarebbe la soluzione più semplice (e infatti è
quella accettata) ma è frutto di una distorsione psichica. Si può
fare chiarezza su queste parole considerando l'incipit "ogni
fotografia mostra un momento di una performance": in una foto si
può vedere quello che è recitato, cioè che corrisponde alle
convenzioni e quindi alle aspettative (le strutture degli edifici,
degli abiti, dei costumi, delle espressioni, azioni...) dalle loro
immagini. Ecco che si avrebbe la possibilità di mostrare delle
immagini frutto di immagini (cioè immagini non reali ma immaginate).
E per completare tutti gli input fin qua tirati in ballo: si
mostrerebbe qualcosa di assolutamente assente (senza aver bisogno di
mantenere qualcuno nascosto alla vista per la sua intera vita...).
Tutta
questa riflessione, che è una spiegazione della fotografia e una
spiegazione della mia fotografia, è essenzialmente un confusionario
approccio all'immagine che si affronta quando il modo in cui si viene
educati a vedere la realtà è aberrato: un unico livello solo. Sul
piano mentale, quindi, ci leghiamo all'uso e alla funzione
dell'immagine e della fotografia in modo distorto (imprecisi confini
fra il concreto e il concetto) ma così profondo, perché è il modo
in cui veniamo educati, che lo prendiamo per vero al pari di un
qualsiasi effetto ottico.
Perfetta
conclusione è progettare la macchina fotografica assoluta: che
produce, ad ogni scatto, la stessa foto. Sarebbe l'unico modo per
assumere un ruolo esaustivo della fotografia perché ripete sempre lo
stesso (come l'atto sessuale). Il tema dominante di tutto è,
pertanto, come ci relazioniamo da un punto di vista estetico, cioè
ammettere che ogni aspetto relazionale è una rappresentazione
(performance ho detto all'inizio) e che terminerebbe di esserlo se si
smettesse di seguire le convenzioni. Se fosse possibile, se ne
creerebbero di nuove che a loro volta imposterebbero altre
rappresentazioni: per gli uomini non è possibile non rappresentare,
quindi non è possibile vedere la realtà in un altro modo oltre ad
un unico livello, quindi non possono che adoperare la fotografia in
modo parziale. E quindi, non siamo in grado di cogliere il disturbo
che la fotografia positivamente crea alle nostre convenzioni... La
fotografia è aliena.
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