La performance di ieri di
KRIPTOSCOPIA è stata molto particolare, non avevamo mai lavorato in questo
modo.
Alcune volte, c'è stato fatto
notare che le performance di KRIPTOSCOPIA danno un senso di incompletezza, come
se mancasse qualcosa o non raggiungessero una parvenza di compiutezza. Però, se
ciò avviene non è per un qualche errore da parte nostra, significa che abbiamo
portato a compimento la performance; perché la natura stessa di KRIPTOSCOPIA è
l'indeterminatezza, la ricerca e il tentativo. KRIPTOSCOPIA deve trasmettere
queste sensazioni quindi, non deve offrire uno spettacolo per il quale
aspettarsi una reazione da parte del pubblico troppo entusiasta o di
appagamento; semmai deve colpire perché lascia inappagati. Non deve essere
riconosciuto, forse neanche suscitare un piacere nell'assistervi.
KRIPTOSCOPIA tenta di soddisfare
delle necessità impossibili da soddisfare attualmente. La necessità è quella di
proporre un panorama visivo e uno sonoro che si fondano per crearne un terzo,
una realtà nuova che è quindi la fusione di più realtà. Noi crediamo in questa
visione: la coesistenza di più realtà in un'unica realtà, che si vive in
un'unica esperienza. Questo è anche il modo in cui pensiamo che sarà il mondo
che verrà.
Non esiste ancora nulla, neanche
a livello tecnologico, che possa soddisfare oggi questa necessità. Con l'arte
si deve tentare di soddisfare le necessità, che intanto sono solo delle
esigenze o dei sospetti su cosa si dovrà creare nel futuro e come sarà la
percezione delle immagini e dei suoni nel futuro; forse come sarà pure il
mondo. Noi creiamo questa coesistenza di più mondi con le performance. Ma non
esiste ancora niente che lo possa fare effettivamente, non è ancora stata
inventata una tecnologia che lo renda possibile; non esiste neanche un nome per
quello che facciamo e il pubblico non è ancora capace di fruire delle nostre
performance.
Non è ancora chiaro come poter
far percepire tutto quello che facciamo nelle performance come un'unica cosa,
né è stata inventata una macchina per farlo; il nostro dovere è proporre questo
terzo panorama di fronte al pubblico, dove più realtà sono fuse assieme. Come
artisti abbiamo allora il dovere di captare questa necessità di vivere in più
universi e mettere in scena un accesso all'alternativa o un'uscita dal
convenzionale. Siamo consapevoli dell'impossibilità di Kriptoscopia, se non
fallissimo, sarebbero solo dei bei suoni e dei bei video.
Faccio un esempio: nell'Ottocento
c'erano dei libri di fotografia che se sfogliati velocemente facendo scorrere
le pagine con il pollice, le foto in sequenza e così in velocità sembravano
scene in movimento; oppure c'erano delle manovelle con attaccate delle foto, si
girava velocemente la manovella e le foto in sequenza sembravano scene in
movimento. L'arte cercava di soddisfare una necessità nuova, che era la
necessità (dopo la novità della fotografia) di vedere immagini in movimento.
All'epoca forse neanche tanto se ne rendevano conto e mettevano in scena questi
espedienti e macchinari fino a che ci fu la nascita del cinema. Quando penso ai
miei progetti artistici vedo sempre l'esigenza di mostrare le porte per un
altrove, il progetto KRIPTOSCOPIA non si scosta da ciò. E dopo il primo mese di
performance, mi sono reso conto di essere in un qualche modo incompreso dal
pubblico... cosa che mi fece riflettere su come porre delle modifiche. Infine
queste riflessioni mi hanno fatto accorgere che se il pubblico rimane con un
senso di aver visto qualcosa di criptico, avevamo centrato il segno. Lo stesso
significato quando noi alla fine della performance non ci sentiamo del tutto
soddisfatti.
KRIPTOSCOPIA deve insomma dare la
sensazione di accompagnarti verso un altro mondo e poi basta, non te lo può
mostrare, non è ancora in grado. Non ne esistono ancora le possibilità, sia di
tecnologia che di consapevolezza. Ci si riesce da soli, con la meditazione.
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