Qui di seguito il quattordicesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto
IL GIORNO DELLA SALVEZZA
che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima Edizioni. Spero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.
RICORDARE LA VERITA’
Riprendendo la similitudine sfruttata nel capitolo precedente: l’operaio non può invidiare l’imprenditore. Come non ha giustificazione il disprezzare chi gode di ricchezze quando messo in confronto con chi è povero. Perché, come si può desumere, l’oggetto dell’invidia è un’illusione: esso varia a seconda di come lo si considera, perciò a seconda della propria coscienza.
Infatti, quello che il ricco ha e il povero non ha, ovvero ciò che si può invidiare a un’altra persona, non è veramente l’oggetto di per sé, ma la diversa idea che il ricco ha della realtà. Uscendo dall’illusione, si precisa così che non si può invidiare un’altra persona perché ciò di cui si invidia è raggiungibile da tutti attraverso un cambio della coscienza.
Non si può invidiare una persona perché ha una cosa e noi no; perché quello che ha è esattamente quello che abbiamo anche noi. Non l’oggetto dell’invidia, ma la vita; e la possibilità di accedervi godendone le risorse. Nel nostro esempio: l’operaio non può invidiare l’imprenditore perché anche lui è potenzialmente “antenna” come l’imprenditore. Siamo tutti dotati della stessa possibilità, della stessa vita: a quella persona è provveduta la medesima vita di chiunque altro. La quale è manifestata in modo diverso da ciascuno attraverso un fisico, una forma: il proprio corpo e l’essere una persona. Ma quello è il modo più immediato per renderla concreta, nessuno ci obbliga a fermarci qui; se non la propria coscienza.
Coinvolgiamo Dio in questa dinamica, perché essendo permanente Egli non può gestire in modo diretto la realtà materiale. La quale non è permanente, come sappiamo. Egli, allora, la consegna in gestione all’uomo, che rientra così perfettamente in questo proposito. La narrazione di questo passaggio di doveri e poteri si ritrova nel libro della Genesi. L’essere umano vive in mezzo al creato considerandosi un padrone, invece. Spesso, anche le persone che aderiscono a filosofie spirituali tendono ugualmente a vedere l’uomo come elemento esterno inserito secondariamente, come se non ci fosse un effettivo collegamento tra il suo esserci e il perché è proprio qui. Infatti, ne consegue una reazione contraria al vedersi padroni: dei meri ospiti che qui devono semplicemente soggiornare. Invece, l’uomo è colui che ha la cura del creato, ne è il curatore, il “tutore”. Da non fraintendere come chiave di lettura per riconoscere l’essere umano come superiore al resto del creato. Seppure curatore, questo è un ruolo come quello di qualsiasi altro componente dell’universo.
La lettura di questo ruolo come giustificazione per il dominio sul creato è certamente l’idea che ha permesso una serie di problematiche che ci hanno accompagnato lungo tutta la Storia. Oltretutto, il vantaggio dell’uomo sul resto del creato ha acconsentito anche di interpretare che a un certo tipo di popolazione viene accordato il permesso di dominare su un altro gruppo della popolazione. Benché tali pensieri siano chiaramente in contraddizione alla via indicata da Cristo, addirittura i cristiani ne sono stati i promotori, come sappiamo. Ma, probabilmente, questi non erano per esprimere un credo nei confronti di uno sviluppo spirituale; piuttosto un tornaconto su un piano legato al potere e all’influenza politica.
Difatti, tutto quanto succede nel creato è diretta conseguenza della volontà umana, conscia e inconscia. La realtà ne è il risultato e non viceversa, abbiamo constatato in più occasioni. E non è neppure conseguenza della volontà divina, la quale, poiché eterna, ferma e costante non potrebbe che essere inconciliabile con questa dimensione; sarebbe come un fermo immagine. Quindi, ad esempio, se un uomo si mettesse a osservare un fiore e per gioco esprimesse il pensiero che quel fiore sbocciasse all’istante come per incantesimo a esaudimento della sua volontà, non vedendo alcuna reazione si convincerebbe che non può modificare nulla della realtà. Invece, proprio il germogliare della pianta dal seme fino a diventare fiore e infine sbocciare per così dare vita ad altre piante è esattamente la conseguenza di quel volere. È perché l’uomo vuole così che in quel modo avviene ed è così il mondo governato dall’uomo. Tant’è che, come accennato più sopra, l’opposto, cioè un mondo governato da Dio, sarebbe un istante unico. L’istante in cui il mondo è stato creato che si protrarrebbe all’infinito. Nel racconto dell’Eden, il mondo è stato creato e il fiore del nostro esempio sarebbe comparso e in quella forma rimasto per sempre. Nulla di tutto ciò è comprensibile se si rimanesse convinti che pure Dio debba sottostare alle leggi della fisica come la materia.
Invece, per mezzo dell’uomo e del suo pensiero, il fiore è prima seme, poi pianta e di nuovo seme. Questo, però, non significa che Dio è tagliato fuori: tale dinamica è il modo ideale per cui Egli possa manifestarsi, interagire e creare. L’essere umano, come abbiamo imparato, non è separato dal tutto e quindi lo si può individuare come lo strumento indispensabile per Dio per animare la creazione. Essere in linea con il Vangelo produce uomini in grado di creare bellezza e quindi cose utili per il mondo in modo autonomo. Addirittura, diventando cosciente di ciò, quell’uomo del nostro esempio sarebbe per davvero finalmente in grado di far sbocciare il fiore all’istante. Mentre, se si è poco forniti di fede, e quindi non convinti pienamente che niente è impossibile, si può solo alimentare con il proprio pensiero il pensiero dominante sulla realtà (quello che credono tutti) che porta quel fiore a vivere il suo ciclo vitale seguendo i ritmi e i tempi convenzionali.
Gli sconvolgimenti climatici o altri mutamenti radicali nel mondo sono la conseguenza diretta del graduale modificarsi del pensiero umano. I mutamenti sono globali perché questo pensiero non è in realtà intrinsecamente personale ma esterno a noi al quale le persone comodamente traggono la propria volontà che, seppure credono libera e individuale, è in realtà omologata e programmata.
L’intero creato è, come dice la parola stessa, un artificio. Dai nostri approfondimenti potremmo riassumere che il motivo di tale costruzione è proporre un ambiente dalle condizioni ideali perché l’uomo si accorga di essere divino. Ci appare, infatti, che egli si ritroverà, seguendo un percorso di consapevolezza, a riconoscersi come strumento della vita stessa e non solo un semplice essere umano. Lo è da sempre, è il suo stato: per questo si può affermare che la conoscenza di ciò può essere stimolata e intuita perché già la si conoscerebbe. Ed è come se l’essere umano semplicemente la ricordasse. Le intuizioni, infatti, nel loro fluirci nella mente non sono probabilmente originarie da un effettivo esterno da noi, ma è conoscenza che riemerge spontaneamente come un deja-vu. Proprio come dei ricordi sovvengono a seguito di immagini, azioni o parole captate, anche distrattamente.
A questa conoscenza, siccome non è esterna, non è una concessione l’accedervi: essa è già nell’uomo. Non bisogna fare nulla al di là del praticare il Vangelo al fine di risvegliare questa coscienza che, allora, non è estranea, diversa, ma nostra fin dal principio. Per mezzo di ciò, l’essere umano può concretamente intervenire nella realtà, pure oltre il senso comune. E questo lo abbiamo constatato essere un mero effetto collaterale piuttosto che una modalità per ottenere tutto quello che si vuole indiscriminatamente, come un mago. L’intervento umano, al massimo, ha utilità nello svelare chi siamo e cosa facciamo. La personale volontà, infatti, a questo punto del percorso, non impone più pressioni per rincorrere un qualche obiettivo mondano perché il mondo non è più percepito ammaliatore, restrittivo e obbligante come in passato, quando lo si credeva tutta la realtà esperibile. Così, si rinnova l’accorgersi che l’essere umano è un elemento creativo di questa realtà e non un passivo spettatore.
Sembra un paradosso, però, che per poterlo scoprire, egli deve passare per forza per l’esperienza materiale. In effetti, come potrebbe fare il confronto se sapesse solo quanto si può conoscere attraverso l’esperienza dell’esistere come qualcosa di immateriale? Proprio come nel nostro libro precedente si arrivava a intuire l’esigenza di introdurre la morte per potersi accorgere di essere in vita, qui si constata pure che la realtà materiale è un dono di Dio per farci cogliere il nostro essere, innanzitutto, non materiali. Difatti, se l’essere umano invece di passare per la materialità, salta già a tornare fuso in Dio, sarebbe come daccapo, non avrebbe imparato nulla, sarebbe incompleto. Quella che viene considerata da alcuni (anche credenti) come una vita di sofferenza, è invece una strategia perfetta che Dio ha inventato e donato proprio perché l’essere umano possa tornare a unirsi con il tutto, con Lui, in una completa coscienza.
Questo è il senso della tentazione nell’Eden di diventare già onniscienti e onnipotenti come Dio, cioè di diventarlo senza dover passare per l’esperienza terrena. E così condannarsi a uno stato incompleto e inadeguato. Fortunatamente, Dio ci fa uscire da un simile vicolo cieco inserendo l’essere umano nel creato e permettendogli così di dare al creato l’avvio all’esistenza (transitoria).
In un paradigma quasi impossibile da immaginare per la sua magnificenza, l’uomo, diventando l’opposto, cioè materiale, può rendersi conto di essere uno strumento, un membro attivo di qualcosa di infinitamente più grande e non esclusivamente materiale. E solo così fare esperienza che dal creato egli non è veramente distinto ma è tutt’uno.
Nessun commento:
Posta un commento