Quando
definisco l'immagine come una rappresentazione di informazioni, non intendo che
è una rappresentazione di un pensiero. L'immagine, attraverso le informazioni
contenute, non mette in scena un pensiero, un concetto, un aspetto, una
creazione, ma lo è. In altre parole, è come se fosse un lavoro di
trasposizione: le informazioni si tramutano in uno stato di pensiero, che si
traduce in un'immagine, la quale poi, se ad esempio fosse spiegata a parole o
con un testo, diventerebbe un'altra cosa ancora. Ovvero, ogni diverso modo di
tradurre le informazioni apporta una distinta interpretazione. Se io con la mia
elaborazione ho creato un pezzo a sé a partire da alcune informazioni (una
fotografia o sue parti), in un modo identico bisogna considerare ciò che deriva
dal pezzo che ho realizzato: sono ulteriori interpretazioni e quindi a sé
stanti. Non voglio screditare l'originalità della produzione di un artista, ma
considerare come fondamentale che può essere vissuta e letta in svariati modi.
Questo comprende anche la documentazione fotografica di un’opera, il testo
critico, la collocazione del pezzo all’interno dell’area espositiva...: è il
senso attorno al quale l'arte acquisisce valore e dignità. Forse, artisti si
diventa quando si sa bene che quello che si fa è solo un’interpretazione di
informazioni connessa non all'autore ma a chi legge l'opera.
Come
autore, sono nell'attesa che qualcosa di completamente opposto potrà accadere:
fare un'opera che permetta una sola interpretazione. Innanzitutto, c'è da
specificare che questo momento lo attendo ma non lo desidero: mi sentirei
finito e persisto nel vedere ancora esplorabile il mondo degli equivoci.
Tuttavia, ogni tanto, mi sembra che stia per emergere: inizio un lavoro e già
vedo al primo tocco che quel segno potrebbe dire tutto, cioè che il pensiero
sarà leggibile proprio come voglio che venga letto. Ma poi scorgo che potrebbe
essere colto da un altro punto perché vedo che un esercito di roba banale
avanza. E' come se ogni volta l'immagine possa essere invalidata, che non si
potrà mai manifestare un pensiero in maniera da apparire come un'inequivocabile
riflessione (arte corale direi, visto che sarà unica per tutti e
l'interpretazione principale (che fa l'opera un'opera d'arte) è di chi legge,
non di chi scrive). Tenendo conto che è questa la caratteristica dell'arte o
della mia arte, non mi scoraggio troppo per la mia inettitudine. Anzi, sono
sicuro che prima o poi il "coro" giungerà.
Come lettore di un'opera d'arte, mi sento spaesato (che
non ci capisco un cazzo) quando sono davanti ad un'opera d'arte. Quanto l'adoro
quel momento.
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