Oggi ho iniziato a ragionare su
un nuovo lavoro di poesia. Già da un po' sapevo che avrei cercato di scrivere
sulla terra, la materia, la bassezza però non ne risolvevo la scelta stilistica
più adatta.
Nella poesia umana bisogna avere
la giusta misura, raccomandava il Leopardi. E la giusta misura non la si può
immediatamente cogliere, perché la società è da poco cambiata, nel modo in cui
l'individuo pensa e ritiene le proprie priorità; una svolta al pari del boom
economico degli anni '60, '70, il periodo fascista, la rivoluzione
industriale...
E' necessario trovare nuovamente
i limiti dentro ai quali poter muovere il proprio pensiero, ovvero registrare
di nuovo le convenzioni della nostra vita personale e comune. E, appunto, la
strada giusta è scrivere senza riflettere troppo, cioé quello che si pensa in
superficie ("la ragione è nemica della grandezza, la natura è nemica della
ragione, la natura è grande, la ragione è piccola").
Allora, scriverò di quello che
uno dice solo a sé stesso, o alla persona con la quale va a letto; saranno dei
testi, pertanto, che potrò leggere in pubblico una volta sola perché non mi inviteranno
una seconda volta. Ma qualcuno deve scrivere in questo modo per poter
ridiscutere il modo di fare poesia oggi: non si può ripetere uno stile che, a
causa dei cambiamenti della società, possa sembrare anacronistico o fuori
luogo. Tuttavia, questo tentativo lo possiamo fare in pochi: chi non ha nulla
da perdere; ad esempio, chi non teme di fare una magra figura leggendo di
argomenti bassi o solitamente banditi (o magari volgari) di fronte a tutti.
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