Ieri sera sono stato
all'inaugurazione di una mostra di foto antiche di un secolo, provenienti da un
catalogo originale di geishe. Forse l'evento è stato curato più
dell'esposizione in sé, ed è comprensibile essendo ospitato in un negozio di
abbigliamento, perché le fotografie meritano una profonda attenzione. Le geishe
offrivano una fascinazione basata sulla tensione che si creava dal loro
avvicinarsi e al contempo sottrarsi; un far percepire un'intimità speciale a
chi è presente ed anche l'impossibilità di potervi accedere. Questo tipo di
seduzione è definita con un termine, "iki", che non è traducibile in
italiano. Eppure è espresso nei loro volti visibili in quelle immagini: gli
occhi comunicano mentre la bocca no, con lo sguardo sono presenti e con la bocca
assenti.
Anche in questa occasione, come
ad ogni evento a cui prendo parte, incontro persone che parlano in modo
contrariato della imminente chiusura degli spazi espositivi di via Bertossi a
Pordenone, specie perché verranno sostituiti da uffici e un nuovo museo verrà
aperto. Ieri sera, però, ha fatto la comparsa una raccolta firme sostenuta da
un gruppo che cerca di sensibilizzare sull'argomento chiamato "il ballo
della scrivania". Conosco le persone che ci sono dietro, quindi sono certo
che avrà sviluppi propositivi, temo però che se vogliono fermare la macchina di
questa specie di trasferimento sia troppo tardi, che tutto sia già stabilito.
Per ora, l'arte a Pordenone fa effettivamente muovere l'economia, come dice
l'assessore, ma soltanto delle ditte di traslochi.
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