Il rendere la visione di un
soggetto difficile o sfocata non è semplicemente finalizzato a mettere in scena
la sensazione di indefinitezza, incertezza, vaghezza della realtà, ma più
onestamente il mio rapporto con essa. Ognuno infatti può avere un proprio
rapporto con quanto vive quotidianamente e il modo in cui giudica la realtà.
Non c'è un mero scopo didattico nella mia arte. Io uso le foto perché esse sono
il veicolo per trattare il presente, il reale e cercare il presente, il reale
non significa mettere al centro il pezzo lavorato, ma la lavorazione: è lì che
sta un punto di svolta, la ricerca dell'attuale: fare esperienza di quello che
si sta vivendo.
La quasi totalità delle volte, si
parte parlando di queste sfocature, filtri, difetti visivi, per spiegare i miei
lavori. Eppure quelli non sono la spiegazione dei miei lavori, ma il motivo per
cui faccio quei lavori.
A questo si aggiunge però un
processo che non è veloce e repentino (anche se alcuni lavori prevedono una
esecuzione nervosa e immediata) seppure non viene cercata una pianificazione.
La perdita di un gesto compiuto di getto viene sbilanciata con un aspetto che
dà l'idea di immediatezza: mancanza di cornice, sbavature, strappi, sporcizia.
Questo mi fa prevedere che cesserò di lavorare in questo modo.
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